Uber e la pace difficile con i tassisti italiani
Si prepara ad arrivare in Italia con una formula simile a quella di MyTaxi. Ma i tassisti non vogliono sentirne parlare. Fra complottismi e sospetti, il settore si sta evolvendo e le app sono sempre più diffuse. Viaggio fra la mobilità (quasi) del futuro
“LAVORARE con Uber? No: è il nemico. Ci vuole trasformare in schiavi”. L’autista, poco più di trent’anni anni, lo dice risoluto. Il fatto che la compagnia americana cerchi ora la collaborazione dei tassisti italiani, come rivelato a questo giornale dall’amministratore delegato Dara Khosrowshahi, non gli interessa. Subito dopo però ammette che difendere il passato è una strada in salita e con il presente in qualche modo bisogna venire a patti. “Sono cliente di Amazon e so che i suoi magazzinieri se la passano male - continua - capisco perché scioperano, capisco anche che da utente certe multinazionali forniscono un ottimo servizio. Ma io voglio arrivarci alla pensione, non possiamo cedere. Altrimenti domani con i taxi a guida autonoma ci sostituiranno tutti”.La corsa, nel nostro caso, l’abbiamo richiesta via app con il servizio di MyTaxi. Sbarcato dalla Germania nel 2015 è di proprietà della Daimler, che fra le altre cose possiede Mercedes e servizi di car sharing come Car2Go. Può contare su poco meno di quattromila tassisti fra Torino, Roma e Milano ed è riuscita a far breccia apparendo come il male minore mentre Uber si scontrava frontalmente con i tassisti. Per loro stessa ammissione, con MyTaxi lavorano più di prima rispetto ai radio taxi. UberTaxi, che presto aprirà in Italia, funziona allo stesso modo: trattiene il 7 per cento del prezzo pagato dal cliente, permette di chiamare i taxi via app, di pagare con la carta di credito e domani con il contante, ha una piattaforma tecnologica che funziona alla perfezione. Dopo cinque anni di cause legali e manifestazioni di piazza, a San Francisco cercano di voltar pagina.
“Ormai è la strategia che va per la maggiore: trovare un accordo con le amministrazioni e le realtà locali”, commenta Massimo Ciuffini, che coordina l’Osservatorio Nazionale Sharing Mobility della Fondazione per lo sviluppo sostenibile, in accordo con il Ministero dell’ambiente e quello delle Infrastrutture e trasporti. “La vecchia logica della Silicon Vally di infischiarsene di tutto e di tutti, come faceva Uber, non funziona. Il settore sta cambiando, presto da noi arriveranno anche i monopattini elettrici, ed è comprensibile che i tassisti temano di perdere terreno”.
Su un taxi affiliato alla app It Taxi, che fa capo alla più grande cooperativa di radiotaxi d'Europa (Radiotaxi 3570), si respira un’aria pesante fra teorie complottiste e voglia di resistere ad ogni multinazionale. “Tedeschi o americani sono tutti uguali. Sempre di multinazionali si tratta”, spiega l’autista che è del mestiere dal 1965. “Vogliono i nostri dati per rubarci i clienti e ora perfino ci boicottano: quando cerchi It Taxi online, Google ti fa vedere solo MyTaxi”. A poco serve far notare che sia via motore di ricerca sia sul negozio di app di Google, Play Store, digitando It Taxi si arriva alla sua app e non a quella di MyTaxi.
“Usiamo i dati che raccogliamo solo per migliorare il nostro servizio sia per i tassisti che per i passeggeri”, replica Barbara Covili, a capo di Mytaxi Italia. “La guida autonoma in Italia arriverà forse in un altro secolo, le nostre città hanno caratteristiche strutturali tali da richiedere sempre un intervento umano. Insomma, non è in agenda per quel che riguarda MyTaxi".
L’unica vera risposta alle “multinazionali” sarebbe fornire un servizio efficiente e a prezzi più bassi: i tassisti continuano a far pagare le corse da quando li si chiama e non da quando si entra nel taxi. E’ come pretendere di calcolare l’orario di lavoro, dunque la retribuzione, da quando si esce di casa e non da quando si entra in ufficio. Eppure con tariffe più basse e un servizio migliore molti prenderebbero il taxi più spesso, come dimostra la storia di WeTaxi, app nata a Torino un anno fa come costola del Politecnico.“I sospetti della categoria sono sempre gli stessi, da Milano a Palermo - racconta Massimiliano Curto, trentacinquenne cofondatore di WeTaxi che sta pianificando di espandersi, fra le altre città, anche a Roma e a Milano - ma se si è trasparenti è possibile costruire una formula nuova”. WeTaxi riesce a dare in anticipo il prezzo massimo della tratta, in stile Uber, stima confermata nel 95 per cento dei casi. Si può pagare come si vuole ovviamente, dai Paypal alle carte di credito fino ad una prepagata, e c’è la funzione taxi collettivo: paghi il 50 per cento per andare o tornare dall’aeroporto di Torino condividendo la tratta con un'altra persona. “Il pericolo della raccolta dati da parte di grosse multinazionali non c’è - commenta Curto, riferendosi ad uno dei timori più diffusi fra i tassisti - né Daimler né Uber ne hanno bisogno per la guida autonoma. E anche i dati sui clienti abituali sono ininfluenti: le quote di mercato si conquistano con la qualità del servizio, l’efficienza, le giuste tariffe”. L’85 per cento degli utenti dell'app torinese ad esempio, prima i taxi li usava di rado.
Mentre perfino Volkswagen sta sperimentando la sua app per il car sharing, Uber e altri stanno tentando di unificare tutti i servizi di mobilità, dalle bici ai taxi fino ai monopattini elettrici, inglobando un domani il trasporto pubblico. Anche se su alcuni segmenti non guadagneranno, autobus e metro in primis visto che sono gestiti da altre compagnie, la maggior paete delle persone useranno le loro app per spostarsi. E quelle app diveranno sinonimo di mobilità. “In Italia si potrebbe costruire un ecosistema simile con tutto il trasporto del Paese fornendo un servizio pari se non superiore a quello delle compagnie americane e tedesche”, conclude Massimo Ciuffini. "Taxi, ncc, servizio pubblico, mobilità condivisa, in Italia rispondono però a regole diverse come fossero mercati differenti". E ogni tentativo di cambiare la situazione attuale per un verso o per l’altro è finito male lasciando che siano altri, spesso da fuori, a dettare l’agenda.
“Ormai è la strategia che va per la maggiore: trovare un accordo con le amministrazioni e le realtà locali”, commenta Massimo Ciuffini, che coordina l’Osservatorio Nazionale Sharing Mobility della Fondazione per lo sviluppo sostenibile, in accordo con il Ministero dell’ambiente e quello delle Infrastrutture e trasporti. “La vecchia logica della Silicon Vally di infischiarsene di tutto e di tutti, come faceva Uber, non funziona. Il settore sta cambiando, presto da noi arriveranno anche i monopattini elettrici, ed è comprensibile che i tassisti temano di perdere terreno”.
“Usiamo i dati che raccogliamo solo per migliorare il nostro servizio sia per i tassisti che per i passeggeri”, replica Barbara Covili, a capo di Mytaxi Italia. “La guida autonoma in Italia arriverà forse in un altro secolo, le nostre città hanno caratteristiche strutturali tali da richiedere sempre un intervento umano. Insomma, non è in agenda per quel che riguarda MyTaxi".
L’unica vera risposta alle “multinazionali” sarebbe fornire un servizio efficiente e a prezzi più bassi: i tassisti continuano a far pagare le corse da quando li si chiama e non da quando si entra nel taxi. E’ come pretendere di calcolare l’orario di lavoro, dunque la retribuzione, da quando si esce di casa e non da quando si entra in ufficio. Eppure con tariffe più basse e un servizio migliore molti prenderebbero il taxi più spesso, come dimostra la storia di WeTaxi, app nata a Torino un anno fa come costola del Politecnico.“I sospetti della categoria sono sempre gli stessi, da Milano a Palermo - racconta Massimiliano Curto, trentacinquenne cofondatore di WeTaxi che sta pianificando di espandersi, fra le altre città, anche a Roma e a Milano - ma se si è trasparenti è possibile costruire una formula nuova”. WeTaxi riesce a dare in anticipo il prezzo massimo della tratta, in stile Uber, stima confermata nel 95 per cento dei casi. Si può pagare come si vuole ovviamente, dai Paypal alle carte di credito fino ad una prepagata, e c’è la funzione taxi collettivo: paghi il 50 per cento per andare o tornare dall’aeroporto di Torino condividendo la tratta con un'altra persona. “Il pericolo della raccolta dati da parte di grosse multinazionali non c’è - commenta Curto, riferendosi ad uno dei timori più diffusi fra i tassisti - né Daimler né Uber ne hanno bisogno per la guida autonoma. E anche i dati sui clienti abituali sono ininfluenti: le quote di mercato si conquistano con la qualità del servizio, l’efficienza, le giuste tariffe”. L’85 per cento degli utenti dell'app torinese ad esempio, prima i taxi li usava di rado.
Mentre perfino Volkswagen sta sperimentando la sua app per il car sharing, Uber e altri stanno tentando di unificare tutti i servizi di mobilità, dalle bici ai taxi fino ai monopattini elettrici, inglobando un domani il trasporto pubblico. Anche se su alcuni segmenti non guadagneranno, autobus e metro in primis visto che sono gestiti da altre compagnie, la maggior paete delle persone useranno le loro app per spostarsi. E quelle app diveranno sinonimo di mobilità. “In Italia si potrebbe costruire un ecosistema simile con tutto il trasporto del Paese fornendo un servizio pari se non superiore a quello delle compagnie americane e tedesche”, conclude Massimo Ciuffini. "Taxi, ncc, servizio pubblico, mobilità condivisa, in Italia rispondono però a regole diverse come fossero mercati differenti". E ogni tentativo di cambiare la situazione attuale per un verso o per l’altro è finito male lasciando che siano altri, spesso da fuori, a dettare l’agenda.
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